Presentiamo Hermes il messaggero degli dei



 Ermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia, in origine, fu un dio della natura, specialmente adorato dai pastori, come personificazione del vento e, secondo alcuni, anche del crepuscolo. Tale divinità fu anche adorata anche per i viaggi e in particolare dai viaggiatori. Aveva il potere di entrare nell’Ade a portare i messaggi ed uscirne senza alcuna conseguenza. Nell'Olimpo, è il messaggero degli Dei.
Nacque, secondo la leggenda, in una grotta sul monte Cillene, in Arcadia.Da
bambino, fuggì dalla culla, e, tra i monti della Pieride, rubò cinquanta vacche appartenenti agli Dei, e ne sacrificò quattro per godere del profumo della loro carne. Apollo quindi minacciò di uccidere il piccolo Ermes, ma esso nel frattempo si era costruito uno strumento musicale con un guscio di una tartaruga:la lira. Questo strumento produceva suoni meravigliosi e quindi la rabbia di Apollo svanì. Così si riconciliarono e Apollo prese la lira, mentre Ermes tenne le vacche.
Hermes veniva rappresentato come un giovane vigoroso e snello, dalla fisionomia intelligente e benevola. Nelle rappresentazioni più diffuse, appare come un giovane vestito di semplici abiti (come un pastore o viaggiatore), sulla testa sfoggia il petaso, ovvero un cappello alato e calza un paio di sandali anch’essi dotati di ali(petasi).

In mano stringe il caduceo, attorno al quale si intrecciano due serpenti.



Spesso il caduceo di Ermes è confuso con il bastone di Asclepio(vedi foto sulla sinistra).
Il primo è adesso simbolo dei farmacisti, mentre l’altro è emblema del pronto soccorso.
Come vediamo intorno al bastone di Ermes sono intrecciati due serpenti ed è alato.
 






Presso i Greci il bastone ebbe anche una valenza morale oltre che medica (al contrario di oggi) poiché rappresentava  la condotta onesta e al tempo stesso la salute fisica della persona. Ne fa fede anche l’elmo scintillante  del dio decorato anch’esso con un paio d’ali, avente  la duplice funzione di proteggere il capo, (sede di memoria, intelletto e spirito) e di accrescerne la dignità con il suo splendore.
Rapido come il vento, Zeus lo fece l'araldo e il messaggero degli dèi; non un semplice nunzio delle divinità come Iris, ma un messaggero assai più importante. Egli riceveva da Zeus e dagli altri dèi le missioni più delicate e aveva la libertà di trattarle a modo suo, poiché gli dèi avevano molta fiducia nella furberia e nell'abilità e prudenza con cui portava a termine l'incarico. Tra le tante mansioni, fu mandato a liberare Ares, quando cadde prigioniero di Oto e di Efialte; a persuadere Ade di restituire per qualche tempo Persefone alla madre Demetra; a condurre Hera, Afrodite e Atena sul monte Ida, al giudizio di Paride; a guidare il re Priamo alla tenda di Achille, per riavere il cadavere del figlio Ettore; a proteggere Ulisse contro i raggiri di Circe. Come messaggero degli dèi, era anche il dio dei sogni, in quanto il sogno era considerato come un messaggio di Zeus; chiudeva gli occhi dei mortali toccandoli con la sua magica verga. Accompagnava le ombre dei morti nell'Erebo, e perciò era chiamato Psicopompos, "il conduttore delle anime". In quanto araldo, Hermes doveva parlare bene, saper convincere la gente a cui si rivolgeva, per questo era anche il dio dell'eloquenza abile, sottile, persuasiva. Era sempre in viaggio per il mondo, considerato il protettore dei viaggiatori e della sicurezza delle strade; nei punti più pericolosi e dove una via biforcava, veniva in suo onore innalzata un'Erma, come dal suo nome, una pietra quadrangolare sormontata dalla testa del dio. Fu venerato anche come dio dei commerci, dei traffici e dei guadagni. Per la prontezza dell'ingegno, si attribuiscono ad Hermes molte invenzioni: l'alfabeto, i numeri, la musica, l'astronomia, gli esercizi ginnici, i pesi e le misure. Alcuni attribuiscono ad Hermes la paternità di Pan, secondo altri invece spetterebbe a Zeus.
Nel 24° dialogo degli dei, Luciano fa fare a Hermes uno scanzonato autoritratto: "Può esservi in cielo, o madre, un dio più disgraziato di me? ... La mattina, infatti, appena alzato, ho da spazzare la sala da pranzo e da rifare i letti; quando è tutto in bell'ordine, devo star vicino a Giove, portar su e giù le sue ambasciate correndo avanti e indietro come un postino e appena tornato su, ancor polveroso, servire l'ambrosia. E prima che venisse quassù quel giovinetto (Ganimede) per coppiere, io versavo anche il nettare. Ma la cosa peggiore che, fra tutti, capita a me solo, è che neppure la notte posso riposare, ma bisogna che io accompagni giù le anime a Plutone, conduca i morti e assista al giudizio. Così non mi bastano i lavori del giorno, stare nelle palestre, fare il banditore nei parlamenti e insegnare l'arte della parola: mi tocca anche farmi in quattro con quest'altra faccenda dei morti.
I figli di Leda (i Dioscuri Castore e Polluce), un giorno per ciascuno, stanno in cielo e nell'Ade; per me invece è necessario che io faccia ogni giorno le une e le altre cose; mentre i figli di Alcmena e di Semele (Eracle e Dioniso), nati da misere femminette, se la spassano senza pensieri, io figlio dell'Atlantide Maia devo fare il servitore a loro. Ecco, appena ritornato da Sidone, dalla figlia di Cadmo, dove Giove mi ha mandato per vedere che cosa facesse la fanciulla, non mi ha lasciato tirare neppure il fiato, che mi ha rimandato di nuovo ad Argo a vedere Danae; e 'di là', mi dice, 'passa in Beozia e da un'occhiata ad Antiope'. Insomma, io non ne posso più: se fosse possibile, mi piacerebbe tanto essere venduto, come avviene degli schiavi sulla terra".


Ermes nel libro quinto dell’odissea va ad Ogigia per annunciare ad Ulisse l’imminente partenza.